La scorsa settimana abbiamo affrontato il tema della psicologia dello sport e del ruolo dello psicologo dello sport.
Oggi, invece, ci addentreremo nel mondo aziendale, l'altro dei nostri servizi, analizzando la psicologia del lavoro e delle organizzazioni e il ruolo che lo psicologo svolge all'interno del contesto lavorativo.
In questo articolo parleremo quindi di:
Chi è lo psicologo del lavoro e quali sono i suoi ambiti di intervento.
Come è nata la psicologia del lavoro e delle organizzazioni.
Di quali aspetti si occupa questa disciplina.
Che cos'è la psicologia del lavoro e delle organizzazioni? Essa riguarda lo studio di come gli essere umani sono selezionati, assunti e inseriti nel mondo lavorativo, di come vengono premiati e motivati, di come le aziende sono strutturate in gruppi e team, di come si comportano i leader. Inoltre, studia come l'organizzazione in cui l'individuo è inserito influenza i pensieri, i sentimenti e i comportamenti dei propri dipendenti (Furnham, 2005).
CHI É LO PSICOLOGO DEL LAVORO?
Lo psicologo del lavoro è un laureato magistrale, abilitato dall'Esame di Stato all'esercizio della professione e iscritto all’Albo degli psicologi nella sezione A, Opera in aziende pubbliche o private, in aziende della cooperazione, in aziende sanitarie locali, in ospedali e istituzioni scolastiche, nel sistema di formazione professionale, nei servizi per l'impiego, nelle amministrazioni pubbliche e in associazioni sociali. Può lavorare o come libero professionista singolo o nell’ambito di società di consulenza pluridisciplinare.
Le aree di intervento dello psicologo del lavoro e delle organizzazioni si possono dividere in due gruppi: quelle rivolte ai lavoratori e quelle rivolte all'azienda nel suo complesso.
Potremmo quindi ipotizzare di distinguere due ruoli diversi dello psicologo che opera nel contesto lavorativo: lo psicologo del lavoro e lo psicologo delle organizzazioni.
Gli psicologi del lavoro analizzano e riprogettano il lavoro andando a:
valutare le condizioni ottimali di esecuzione dei compiti.
considerare i processi cognitivi ed emotivi coinvolti nelle prestazioni e nelle relazioni di lavoro, effettuare l’assessment delle skill sia richieste dal lavoro, sia possedute dal lavoratore.
sviluppare competenze e apprendimenti lavorativi.
analizzare quali possono essere fattori di ostacolo alle prestazioni efficaci e sicure.
valutare le fonti di insoddisfazione e disagio.
analizzare e progettare azioni adatte a ridurre i rischi lavorativi e le condizioni di insicurezza.
Gli psicologi delle organizzazioni, invece:
analizzano e migliorano il funzionamento dei gruppi di lavoro e delle relazioni tra gruppi.
analizzano e intervengono sulla leadership.
contribuiscono all’incremento della qualità delle relazioni
riconoscono gli effetti sulle persone dei differenti climi psicosociali ed organizzativi.
analizzano ed intervengono sui fattori psicosociali che influenzano il funzionamento organizzativo.
cooperano affinché i processi di cambiamento organizzativo abbiano impatto positivo sulla vita delle persone.
potenziano le modalità comunicative.
Gli aspetti comuni riguardano la ricerca di base e sul campo, lo sviluppo e l’applicazione di conoscenze psicologiche e gli interventi correttivi, progettuali e di soluzione dei problemi a livello individuale, di gruppo e di organizzazione.
QUANDO E DA DOVE NASCE LA PSICOLOGIA DEL LAVORO E DELLE ORGANIZZAZIONI?
Cerchiamo ora di capire come è nata questa disciplina e quali sono state le tappe che l'hanno portata ad avere come obiettivo primario il benessere dei lavoratori.
La fine del 1800 può essere considerata come l'esordio ufficiale della psicologia del lavoro: le grandi innovazioni culturali e tecnologiche della seconda metà dell'Ottocento, costrinsero le aziende a trovare delle modalità più efficaci ed efficienti per soddisfare le richieste dei propri clienti.
Gli operai non possedevano la visione complessiva di quello che producevano; i problemi sociali iniziarono a emergere quando le persone iniziarono a lavorare in grandi gruppi e per tante ore di seguito, a volte senza neanche avere la possibilità di socializzare, con lo scopo di produrre il più possibile. Tuttavia, tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento, l'interesse della disciplina non era sui fattori umani, quali la soddisfazione professionale, le differenze individuali o il benessere dei lavoratori, ma i ricercatori si concentrarono solo su come migliorare il binomio lavoratore-compito.
Taylor pubblicò nel 1911 L'organizzazione scientifica del lavoro dove descrisse come l'applicazione dei metodi scientifici all'organizzazione del lavoro potesse migliorare la prestazione dei lavoratori e i profitti dell'azienda. Egli partì dallo studio dei movimenti e dei gesti lavorativi usuali per poi scomporli in operazioni più semplici e ricomporli in modo più efficace ed economico. Si delinea in questo modo un insieme di compiti da eseguire che vanno a comporre la giornata di lavoro standardizzata.
Qual era il metodo pensato da Taylor?
Taylor realizzò un insieme di principi di produzione:
The right man to the right place: scegliere l'operaio più idoneo a svolgere un determinato lavoro;
One best way: individuare la modalità di esecuzione di un compito nel modo più efficiente e veloce possibile;
Analytical training: addestrare l'operaio a lavorare seguendo le istruzioni e le tempistiche;
Differential rates: una quantità di incentivo adeguato e differente per le diverse mansioni svolte.
Tuttavia il metodo di Taylor non funzionò perché la maggior parte degli imprenditori applicò il metodo in modo parziale. Le conseguenze furono: insoddisfazione dei dipendenti, sfiducia verso la direzione che derivava dalla ricompensa bassa per il lavoro svolto e dalla continua minaccia di perdere il lavoro e comportamenti ribelli.
Successivamente, lo psicologo Elton Mayo e i suoi collaboratori fondò il Movimento delle Relazioni Umane che mise per la prima volta in primo piano l'elemento umano nell'ambiente industriale con l'obiettivo di salvaguardare l'integrità fisica e psichica del lavoratore.
Ma ora saltiamo avanti di qualche anno.
La nascita e lo sviluppo della psicologia positiva alla fine degli anni '90 ha sicuramente aiutato a spostare l'interesse dal come aumentare la produttività al benessere psicofisico dei lavoratori. Tale filone di ricerca si è sviluppato al di fuori della psicologia del lavoro e ha permesso di colmare alcune lacune.
Nel 2001 il gruppo della Gallup Consulting ha sviluppato il modello dello StrenghtsFinder. L'obiettivo di questo modello era quello di aiutare gli individui a sviluppare e applicare in più ambiti possibili le proprie potenzialità. Questo approccio porta sia al miglioramento del benessere individuale sia ad avere enormi vantaggi alle aziende, questo perché il benessere del lavoratore influenza il contesto all'interno del quale opera, e viceversa.
SU QUALI ASPETTI INTERVIENE LA PSICOLOGIA DEL LAVORO?
Le aree di intervento della psicologia del lavoro e delle organizzazioni sono molteplici e, come anticipato prima, possono essere suddivise in due categorie: quelle rivolte all'azienda e quelle rivolte al lavoratore. Tuttavia, ci sono alcuni aspetti che possono appartenere a entrambi i gruppi in quanto il lavoratore e il contesto in cui esso è inserito si influenzano reciprocamente.
Per quanto riguarda l'azienda, troviamo:
Processi di selezione e valutazione del personale: job analysis, interviste, test, questionari, prove pratiche e di gruppo, valutazione della performance.
Diversity management: valorizzare e gestire la diversità nelle organizzazioni (differenze di genere, disabilità e diversità interculturale).
Motivazione e apprendimento: come favorire la motivazione e l'apprendimento sul lavoro (analisi dei bisogni del lavoratore, obiettivi, aspettative, equità, progettazione del lavoro e retribuzione).
Attività di team-building: aiutare nella formazione e sviluppo del team di lavoro, prevenzione e intervento sul mobbing.
Processi di leadership: aiutare i leader e i manager a sviluppare una leadership funzionale che possa guidare il team.
Valutazione e miglioramento del clima organizzativo: analisi del clima organizzativo, della cultura e promuovere il cambiamento.
Per i lavoratori, invece, si occupa di:
Gestire lo stress lavoro-correlato, la salute e la sicurezza: individuazione, analisi e modifica dei rischi psicosociali legati allo stress.
Aiutare la persona nell'orientamento al lavoro, nello sviluppo e nell'identificazione dei valori professionali e nello sviluppo di carriera
Aiutare il lavoratore a gestire il fine carriera
Motivazione e apprendimento: analisi e miglioramento della motivazione del lavoratore e fornirgli strategie che gli permettano di apprendere meglio e con meno sforzo.
Acquisizione di comportamenti adatti al contesto
Miglioramento del benessere e della prestazione individuale e sviluppo delle competenze personali
Prevenzione del burn-out lavorativo e acquisizione di un buon equilibrio vita-lavoro.
Eccoci arrivati alla fine del nostro articolo riguardante la psicologia del lavoro e delle organizzazioni e il ruolo dello psicologo del lavoro. Possiamo senza dubbio affermare che tale figura da un contributo notevole alla promozione e al miglioramento del benessere psicofisico dei lavoratori, agendo anche in termini preventivi.
E tu conoscevi tutte le aree di intervento dello psicologo del lavoro?
La prossima settimana andremo invece a indagare quali sono gli aspetti in comune tra lo sport e il lavoro, in modo da spiegare come mai i nostri interventi si rivolgono sia al contesto sportivo che a quello aziendale.
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